Saqqara

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L’esplorazione archeologica della grande tomba rupestre del visir Bakenrenef (L 24) fu iniziata nel 1974 dalla Cattedra di Egittologia dell’Università di Pisa sotto la direzione di Edda Bresciani. I lavori continuano tuttora, sovvenzionati da un contributo del Ministero Affari Esteri italiano, Ufficio Relazioni Culturali. Situato a qualche centinaio di metri a sud-est di uno dei più famosi monumenti del mondo, la piramide a gradoni del faraone Gioser della III Dinastia (2617-2599 a.C.), la tomba è scavata nella falesia nord di Saqqara, che guarda la pianura di Menfi. Il proprietario di questo monumento è il principe Bakenrenef, figlio di Padineit, e visir di Psammetico I, fondatore della XXVI dinastia saitica (664-624 a. C). Tutto il complesso scavato nella roccia, dalla facciata al vestibolo, dalla lunga sala a pilastri alla sala delle offerte al santuario affiancato dalle due piccole celle, era stato originariamente rivestito di bei blocchi di calcare. L’esplorazione archeologica intrapresa a partire dal 1974 aveva come scopo la protezione e il restauro di questo monumento così degradato e così importante, quasi regale per le sue dimensioni (misura 40 m di lunghezza e i suoi pozzi scendono fin oltre i 16 m. di profondità) e per la ricchezza originaria delle decorazioni; l’ipogeo è preceduto da una corte con l’ingresso fiancheggiato dai piloni; la corte ed i piloni sono stati scoperti dalla missione archeologica pisana, ma i piloni sono adesso nascosti sotto la strada asfaltata; sabbia e detriti coprono la scarpata della falesia e l’accesso ad altre tombe ipogee sottostanti.Dal tempo della scoperta da parte del francese Jumel nel 1820, la tomba è stata ammirata da celebri visitatori del secolo scorso, come J. F. Champollion (il decifratore dei geroglifici) e Ippolito Rosellini (padre dell’Egittologia italiana) quando guidarono la loro spedizione congiunta, la Spedizione franco-toscana in Egitto e in Nubia tra il 1828 e il 1829. Rosellini descrisse la tomba nel suo “Giornale” definendola “la più magnifica delle tombe di Saqqara”; nel 1828 aveva acquistato ad Alessandria il sarcofago di calcare di Bakenrenef, e lo portò a Firenze, dove ancora può essere ammirato nel Museo Archeologico (Cat.1705/2182).

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Nell’ultimo secolo, e fino ai lavori intrapresi dall’Università di Pisa, la tomba era accessibile attraverso la sabbia arrivando all’inizio della sala a pilastri. L’interno della sala era già in stato di grande degrado, come mostra il prezioso disegno di J. Gardner Wilkinson, riportato nei suoi Manners and Customs (1854). Esso mostra i pilastri già privi dei blocchi di rivestimento e la volta era quasi del tutto crollata. Ancora intatti gli stipiti, l’architrave e la lunetta del grande portale che conduce dalla sala a pilastri alla sala delle offerte. Quando la tomba di Bakenrenef fu documentata nel 1843 da Richard Lepsius (Denkmäler aus Ägypten und Ätiopien 1848-1859) lo studioso poteva copiare scene e testi delle parti di rivestimento ancora in situ, nella sala pilastri e nelle altre stanze interne allora in discreto stato; il Lepsius non ha tuttavia fornito una copia della lunetta disegnata dal Wilkinson. Dall’ultima decade del secolo scorso, i blocchi di rivestimento della tomba furono via via divelti dai ladri di antichità e venduti all’estero, specie in America (Metropolitan Museum di New York, Field Museum di Chicago) e in Europa, anche a privati. Si conoscono altri oggetti che provengono dalla tomba, di cui almeno due statue, una (attribuita a Bakenrenef) appartenente all’antica collezione Hoffman, la seconda, una bellissima statuetta, alta circa 36 cm, ricomposta da due parti, la superiore nel Musée d’Art et Histoire di Bruxelles, l’inferiore nel Brooklyn Museum; il visir porta una collana con un amuleto che scende sul petto, ha una parrucca striata con la treccia laterale propria dei sacerdoti sem di Ptah.

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Inoltre un bacino da libazione è conservato nel Museo del Cairo; è iscritto sui quattro lati con le formule usuali a questo tipo di oggetto e la sua cavità poteva contenere più di 26 litri di liquido; era collocato nella tomba davanti a una statua di Bakenrenef, probabilmente nella sala delle offerte. Quando l’Università di Pisa iniziò i suoi lavori nella tomba di Bakenrenef, restava ben poco del rivestimento, ma alcuni soffitti erano rimasti intatti, a testimoniare il passato splendore.
L’opera dei ladri si aggiungeva ai danni causati dalle alterazioni della roccia di Saqqara di cattiva qualità. Questo aveva già imposto cambiamenti nel progetto dell’antico architetto di Bakenrenef (per esempio, la grande sala a pilastri era stata prevista originariamente con otto pilastri poi ridotti a sei) e portò in epoca successiva al crollo della facciata e alla costruzione di muri di sostegno nel vestibolo.  Decine di anni prima degli interventi della missione dell’Università di Pisa, blocchi e frammenti tolti alla tomba erano dispersi in collezioni e musei in Europa e in America. La maggior parte di questi blocchi di rivestimento sono stati localizzati. Una parte della decorazione resta al suo posto, e centinaia di blocchi e di frammenti lasciati dai vandali sono stati ritrovati durante l’esplorazione della tomba dal 1974 in poi; le ricerche in settori delle infrastrutture (pozzi e gallerie) della tomba hanno fatto scoprire aree sconosciute del monumento, come la galleria del pozzo sud, chiamata la galleria del visir; vi sono stati ritrovati quattro splendidi sarcofagi coperti di geroglifici incisi. Un testo demotico tracciato sul muro della galleria ci informa che la galleria fu inaugurata durante il regno di Nectanebo I (XXX dinastia) da un discendente di Bakenrenef, il visir Padineit, chiamato Pascerientaihet, figlio di Horiraa.
Numerose campagne archeologiche hanno permesso di comprendere le differenti fasi della costruzione della tomba, le sue variazioni e i tentativi di restauro e di consolidamento effettuati già in epoca antica. Le operazioni hanno anche mostrato appieno l’importanza della tomba per la sua straordinaria tipologia e le caratteristiche della struttura e della decorazione, che la rendono unica nell’area menfita, e che può essere paragonata alle tombe regali del Nuovo Regno e quelle private ipogee di Tebe; hanno anche permesso di comprendere meglio il progetto dell’antico architetto, che sembra essersi ispirato alle tombe tebane regali e alle grandi tombe private tebane tra la fine della XXV e l’inizio della XXVI dinastia. È anche divenuto chiaro il programma dell’antico architetto di Bakenrenef, ch’egli ha usato per decorare le stanze della tomba. Il programma alterna lo stile ed i temi delle mastabe di Saqqara utilizzati per la decorazione arcaizzante della facciata, del vestibolo e della sala delle offerte che mostra ben due “pancarte” o liste delle offerte con lo stile ed i temi “moderni” dei testi e delle vignette tratti dal “Libro dei Morti” utilizzati per le altre sale della tomba.

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I soffitti presentano una decorazione diversificata: motivi astronomici sul soffitto piatto del vestibolo (dove si legge il cartiglio di Psammetico I), la volta della sala a pilastri ornata delle figure a rilievo e dipinte delle personificazioni delle 12 ore del Giorno e delle 12 ore della Notte adorate dal visir; i soffitti delle altre sale decorati con motivi di tappezzerie, stelle, voli di grandi avvoltoi regali. La decorazione in stile “Antico Regno” del vestibolo e della facciata è una delle scoperte dell’Università di Pisa, perché negli anni 1978 e 1979 ne ritrovò molti blocchi, reimpiegati nei muri di sostegno del vestibolo costruiti in epoca greco-romana; una parte della decorazione scolpita è stata anche ritrovata in situ sul muro del vestibolo.
Nel 1975 fu scoperta una tomba (chiamata BN2); senza rivestimento decorato, è però fornita di un bel portale in calcare, con belle sculture. Il proprietario, raffigurato sull’architrave del portale, è il sacerdote di Sekhmet Pascerientaisu, vissuto a Menfi nel IV secolo a.C.; i testi geroglifici incisi sugli stipiti riportano due testi importanti, un inno al sole che si leva e un inno al sole che tramonta.
L’esplorazione del pozzo e delle gallerie inferiori hanno dato molta bella suppellettile lignea, sarcofagi, e molti preziosi amuleti. Il registro della Missione conta più di mille oggetti, tra quelli provenienti dai differenti settori esplorati della tomba di Bakenrenef, utilizzata come tomba familiare per più di un millennio, e quelli provenienti dalla tomba di Pascerientaisu. La maggior parte di questi oggetti sono documenti importanti per la storia e la storia dell’arte e della cultura materiale dell’Egitto tardo. Tutto il materiale è conservato nel Magazzino della Missione a Saqqara; soltanto l’eccezionale tela funeraria dipinta, trovata nel 1975 nel pozzo sud di Bakenrenef è oggi esposta nel Museo del Cairo (J.E.Prov. 9/12/95/1).
Sono stati scoperti anche reperti appartenenti a epoche e monumenti diversi, come il blocco di arenaria con bella scultura, che proviene da un tempio eretto nell’area di Menfi dal faraone Scescionq I (XXII dinastia), e la grande e frammentaria stele naos con le tre possenti figure in rilievo della triade Osiriana e il cartiglio coi nomi del re Sciabaka (XXV dinastia etiopica), i cui pezzi sono stati ritrovati reimpiegati nella facciata d’epoca tarda. Nel 1982 – 83 l’evidenza di problemi di solidità sconsigliarono di continuare le indagini archeologiche nelle gallerie e pozzi restati inesplorati, e porta rono a mettere a punto nel reale un progetto dove il consolida mento preliminare dell’insieme geologicamente compromesso si accompagnava a quello della anastilosi del rivestimento della tomba e dei suoi elementi architettonici, insomma del restauro propriamente detto della più bella tomba saitica di Saqqara.

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Grazie a un primo contributo concesso all’Università di Pisa dal Ministero degli Affari Esteri-Dipartimento Cooperazione allo Sviluppo, è stata iniziata la prima fase di un programma di cooperazione italo-egiziana, il “Cantiere scuola di Saqqara”, un cantiere archeologico sperimentale, con stages per tecnici egiziani su tematiche inerenti al restauro, la conservazione e la catalogazione, le moderne tecnologie, ma che nello stesso tempo era collegato in maniera inscindibile al “Progetto Saqqara” per il restauro del complesso monumentale di Bakenrenef.  L’Università di Pisa ha portato al previsto stato di avanzamento la prima fase del Programma (1985-1987); le fasi successive previste non sono state finanziate, e quindi il progetto di consolidamento è restato purtroppo incompiuto.

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Il programma complessivo per la ricostruzione tridimensionale del monumento comprese queste parti nuove è ancora in elaborazione; qui si vuole mostrare il lavoro in atto, e quindi soltanto alcune delle parti sufficientemente avanzate.È stata realizzata una ricostruzione della facciata della tomba di Bakenrenef col suo cortile e i piloni d’ingresso alla tomba. Per il vestibolo per ora si propone un disegno di “com’era” il soffitto (attualmente coperto di nero-fumo che lo rende illeggibile, ma parti ritrovate durante le indagini mostrano settori del soffitto non anneriti); si fa vedere “com’era” la volta della sala a pilastri, si mostra una ricostruzione della stanza sotterranea del sarcofago del visir, con ricollocamento del sarcofago stesso. Il modello tridimensionale per la tomba, sulla base della perfetta documentazione architettonica eseguita in questi anni di lavoro, è stato elaborato per ricollocare sulle pareti alcune “tavole” dei Denkmäler di R. Lepsius, scelte in questa fase di sperimentazione come modello di riferimento e completate con colori confermati dalle parti esistenti della tomba. Infatti si è preferita per ora una ricostruzione virtuale parziale, per permettere di entrare nelle stanze della tomba “accompagnati da Richard Lepsius”, vedendo cose che lo studioso tedesco ha potuto vedere un secolo e mezzo fa.Nel santuario siamo andati ben oltre il modello Lepsius, fino a interpretare e completare, sulla parete di fondo, inquadrato da una bella cornice, il moncone di statua che già il Lepsius non riuscì a identificare. L’ipotesi proposta è quella di una grande statua di Hathor in forma di vacca (che poteva avere davanti a sé, proteggendola, la figura del titolare della tomba, secondo un tipo di scultura ben attestata per l’epoca saitica); l’ipotesi è basata sul contorno del moncone sulla parete, e sul fatto che l’ alta doppia piuma col disco solare che è portata di regola dalla vacca di Hathor, spiegherebbe certe tracce visibili nell’asse centrale del soffitto del santuario.

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La campagna 1996 è stata ricca di risultati importanti per il lavoro compiuto dal gruppo di paleopatologi dell’Università di Pisa, diretto dal Prof. Gino Fornaciari, che ha collaborato con il gruppo egittologico, in particolare con la Dott, Flora Silvano. Sono stati studiati i resti umani mummificati e scheletrici provenienti dalla tomba di Bakenrenef di una dama vissuta nella XXVI dinastia, i cui rapporti familiari con Bakenrenef sono ancora da precisare, il cui nome (la donna è soltanto definita “Osiri”) Merneith, il titolo e il nome del padre, “il direttore dei palazzi, Ugiahorresnet” e il matronimico “N(y)-s-it-s-Ra”, sono forniti dal testo geroglifico sulla cuve del grande sarcofago ligneo (lungh. m. 3,14; largh. alle spalle m. 0,70; idem all’interno, m. 0,33) che conservava i resti della donna, ritrovato nel pozzo nord nel 1977.Il corpo mummificato di Merneith era stato riempito di resine; nel giusto sito anatomico era stato inserito uno “scarabeo del cuore”, anepigrafe (cm. 3,15×2,3×1,17) scolpito in pietra dura verde, che è stato ritrovato accuratamente avvolto nelle bende. L’esame radiografico della mummia ha inoltre accertato l’esistenza nella cavità addominale di un pacco rotondeggiante di resina e altro materiale che non conteneva però gli organi della defunta. Durante la stessa stagione 1996 sono stati esaminati anche altri due defunti, un uomo e una donna, di epoca tolemaica, la cui sepoltura doppia fu ritrovata all’imbocco della galleria est del pozzo nord durante le operazioni dell’anno 1979. Anche per questi individui lo studio paleopatologico ha dato informazioni preziose rivelando che la donna fu affetta da tubercolosi ossea e il decesso fu causato direttamente dalla malattia.